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La genesi del disagio della civiltà - di Edith Maria Frattesi

Immagine del redattore: Rudy PesentiRudy Pesenti

Aggiornamento: 18 dic 2024

Il pensiero del mese di febbraio, a cura dell'autrice Edith Maria Frattesi

Edith Frattesi, autrice di serena è notte

“Stay hungry stay foolish” sono le parole di Steve Jobs. Tradotte in italiano significano “siate affamati, siate folli”, ma forse, nonostante le buone intenzioni del visionario tecnologico, sono state male interpretate. Sì, perché ovunque ci giriamo, qualsiasi strada percorriamo, siamo sommersi d’abbondanza e qualunque persona incontriamo ha qualche problema psichico. Fino a ora, non ho mai conosciuto qualcuno che possa dirsi scevro da un disagio mentale, più o meno grave, e perciò mi domando spesso dove si possa cercare la genesi di tutto questo. La rivoluzione industriale ha portato con sé inevitabili cambiamenti. L’800, infatti, è stato il secolo nel quale sono state costruite le prime centrali elettriche. La mentalità lavorativa stessa è cambiata durante quegli anni, proprio perché, con l’avviamento del lavoro in fabbrica, è nata anche una nuova categoria lavorativa: l’operaio. Notoriamente sottopagato, sfruttato, con condizioni di vita al limite della dignità. Il ritmo con il quale si iniziò a concepire la giornata lavorativa cambiò radicalmente, con turni anche di dodici ore. Aumentarono le morti sul lavoro e lo sfruttamento minorile.



Marx, storico filosofo tedesco, parlò di alienazione, proprio perché, nel lavoro in fabbrica, c’è un certo grado di separazione del lavoratore dall’oggetto di produzione, cosa che non si verifica con l’artigianato. Inoltre, l’alienazione porta anche alla perdita dell’identità e della comunità, facendo quindi diventare l’operaio soltanto “merce”. Un numero, insomma, scambiabile e sostituibile. Marx rivendicò questa sua posizione per andare contro all’origine dell’alienazione, cioè il capitalismo. Poiché, l’operaio, che contribuisce alla costruzione dell’oggetto, non è proprietario, ma soltanto uno strumento del capitale. Quindi, di fatto, l’operaio, col suo lavoro, contribuisce all’arricchimento non di sé stesso, ma di chi possiede la fabbrica.

Paesaggio marchigiano

Nonostante siano passati gli anni e molti progressi siano stati raggiunti, purtroppo la rivoluzione industriale ha cambiato per sempre le menti e il modus vivendi degli esseri umani. Ora, il lavoro è il metro con cui si misura l’uomo. Il capitale, quindi, lo strumento per stimare quanto una persona conti all’interno della società. Eppure, è un meccanismo talmente distorto che porta, inevitabilmente, a danni ben più gravi del crollo dell’economia. Tassi sempre più alti di depressione (considerata la malattia del nuovo millennio), disturbi d’ansia, suicidi, per citarne alcuni.


“Il modello bio - psico - sociale è un nuovo modello disciplinare che tenta di spiegare la sofferenza mentale del soggetto, intendendolo come persona-mente-cervello all’interno del contesto delle proprie relazioni sociali significative. Il precursore di questo orientamento è A. Meyer (1958), che sostituì al concetto di malattia mentale quello di reazione psicopatologica della personalità legata alle particolarità biologica, psicologica e sociale di ogni individuo. Engel (1977) rilevò la necessità che il nuovo modello bio - psico - sociale considerasse tre aspetti interdipendenti:


a) il funzionamento biologico: l’insieme delle funzioni del sistema nervoso sottocorticale, cioè tutti i processi che sono automatici ed esterni alla coscienza;

b) il funzionamento psicologico: il mondo interno autocosciente che dirige l’elaborazione delle informazioni e la comunicazione intrapsichica e interpersonale;

c) il funzionamento sociale: gli aspetti familiari e socioculturali del comportamento della persona, in relazione all’ambiente che influenza e che viene influenzato dall’individuo.” (Il modello biopsicosociale (ambulatoriosocialepsicoterapia.com))


le colline marchigiane

È chiaro, quindi, come alla base della formazione dei disturbi mentali ci sia anche l’interazione con l’ambiente sociale di riferimento. E questa, volenti o nolenti, è una società che spinge a un alto tasso di sviluppo di malattie mentali, proprio perché siamo parte di un ritmo che non è nostro. Il ritmo con cui si scandiscono le giornate è un ritmo dettato dal capitale e dalla globalizzazione. Questa velocità, questa continua corsa verso gli obiettivi, toglie il tempo necessario per pensare, per elaborare, per acquisire consapevolezza. E, qualora non si riesca a fare tutto ciò, la mente e il corpo rispondono di conseguenza.


Bisogna, quindi, riuscire a riacciuffare uno stile di vita più nostro, più a portata della persona e che sia concepito in maniera individuale, piuttosto che oggettiva. Proprio perché siamo tutti diversi, è bene che anche la società permetta di esternare questa differenza, offrendo possibilità a tutti di fare ciò che più aggrada e che soddisfi, invece di concorrere sempre di più alla omologazione e all’abbondanza e, di conseguenza, alla formazione di una follia collettiva.


Maggiori informazioni sul libro Serena è la notte, di Edith Maria Frattesi, si possono trovare QUI


serena è la notte con varie tematiche sociali

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romanzo di Rudy Pesenti che parla di condizione delle donne in africa

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