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Oltre l'oggetto: la responsabilità della tecnica - di Marcello 'Bielsa' Bonanomi

  • Immagine del redattore: Rudy Pesenti
    Rudy Pesenti
  • 26 mag
  • Tempo di lettura: 6 min

Il pensiero del mese di maggio, a cura di Marcello 'Bielsa' Bonanomi

marcello bonanomi

Cos’hanno in comune la plastica e l’intelligenza artificiale?

Per capire cosa lega queste due invenzioni bisogna fare un salto indietro nel tempo di qualche decennio, ancor prima dell’avvento dei moderni computer.

In un tempo ormai lontano, ben prima che io che nascessi e ben prima che lo facesse mio padre, gli utensili di cui ci si serviva per sbrigare le faccende quotidiane erano in ferro o in latta. Le massaie si servivano di secchi e bacinelle in metallo o in legno per trasportare l’acqua necessaria per nutrire gli animali, per fare le pulizie in casa, per l’igiene personale e per andare ai lavatoi a fare il bucato.

Si può facilmente immaginare la notevole mole di lavoro fisico che questo comportava. Le foto dell’epoca lo testimoniano: è sufficiente osservare la costituzione delle donne di altri tempi.

Poi negli anni ’60 è arrivato il polipropilene isotattico comunemente detto moplen.

Un materiale leggero, economico, resistente, inossidabile. Una vera svolta della tecnica che fu in grado letteralmente di alleggerire la vita quotidiana di milioni di italiani.

Una vera e propria rivoluzione silenziosa che permise di effettuare gli stessi lavori con un dispendio di energie decisamente minore.


Dunque, dov’è il nesso tra tutto ciò e la capacità generativa di una macchina?

L’intelligenza artificiale di per sé non è né cattiva né buona: è uno strumento. 

Possiamo usarla per creare contenuti superficiali e dannosi così come per automatizzare procedure burocratiche, applicarla alla robotica in campo industriale e assistenziale, impiegarla nella ricerca farmacologica per combattere il cancro.

 Per contro anche il moplen ha semplificato la vita quotidiana di milioni, forse miliardi, di persone, ma contemporaneamente ad oggi la plastica rappresenta un problema ambientale di dimensioni storiche.

La sua diffusione capillare all'interno della catena alimentare e persino nel nostro organismo è inversamente proporzionale alla sua leggerezza.

 

Ci troviamo dunque come spesso capita di fronte ad una bilancia: su un piatto un materiale leggero, resistente, versatile ed economico sull’altro piatto una vera e propria catastrofe ambientale.

 

Lo stesso si può dire di molte altre invenzioni umane.



Le centrali nucleari riforniscono di energia miliardi di persone in modo assolutamente sostenibile, eppure, la tecnologia che ne è alla base ha portato alle creazione di una delle armi più devastanti di sempre.

La meccanizzazione dell’agricoltura ha aumentato esponenzialmente la resa dei terreni coltivati e contribuito decisivamente allo sviluppo demografico. Al contempo ha aumentato in modo considerevole le emissioni CO2 per ettaro.

 

Lo studio dell’economia industriale ha permesso di ridurre i costi di svariati beni e creato fonti di reddito stabili ma al contempo ha reso tutto una merce: il lavoro, gli animali, il tempo, i desideri.

 

La comparazione tra tutte queste invenzioni con poco o nulla in comune ci porta alla conclusione che il filo conduttore del progresso passa dal riconoscimento del fatto che una tecnologia in quanto manufatto umano non è malvagia o benevola per sua natura. È la declinazione che noi in veste di inventori e utilizzatori vogliamo o siamo in grado di darle ad essere determinante. Si capisce subito come questo dipenda a sua volta dal grado di conoscenza della tecnologia medesima e quindi dalla presenza di un dibattito scientifico in merito.

I termini Yin e Yang sono nella filosofia cinese il “lato in ombra della collina” e il “lato soleggiato della collina” e l’uno non può esistere senza l’altro. La presenza di uno non implica l’assenza dell’altro anzi ne è condizione necessaria.


In tutto ciò che l’uomo nei millenni ha creato ci sono sempre stati problemi e opportunità. La formulazione di ipotesi eventualmente errate è alla base del nostro benessere contemporaneo e del progresso.

Le luci e le ombre sono ovunque, sono implicite nel rapporto uomo-manufatto e per estensione in tutto ciò che l’uomo nei millenni ha imparato a piegare al proprio volere.

Io sono sicuro che quando a qualcuno è venuta l’idea di provare ad addomesticare quella massa rovente che brucia gli occhi e ti soffoca, ossia il fuoco, qualcun altro si sarà opposto per paura di bruciarsi: ma la paura del buio, dell’ignoto ha vinto e ha dato un impulso decisivo alla nascita della civiltà.

 

Il dibattito pubblico tende a far coincidere il capitalismo con il progresso quando questi due concetti non sono propriamente coincidenti.

Il paradosso della nostra contemporaneità sta proprio qui.

Se da un lato il progresso è stato la causa di molti dei problemi attuali esso a sua volta ha creato un ecosistema in cui prendono forma delle voci critiche rispetto ad esso e fornisce al contempo le soluzioni ai problemi da esso creati.

A prima vista questa può sembrare un’assurdità. L’arma del delitto, la prova principe.

Il Leviatano che fagocita se stesso.

Ebbene, secondo me, non lo è, sicuramente non sul piano pratico, perché di fatto il progresso ha permesso di far uscire da condizioni di analfabetismo e denutrizione migliaia di persone così come di migliorarne le condizioni di vita sotto molteplici aspetti.

grafico mondo persone ultimi 100 anni

La nostra percezione di progresso in quanto occidentali istruiti è distorta dal fatto di poter osservare la storia dell’umanità da una prospettiva privilegiata avendone tenuto le redini per secoli.

Siamo critici nei confronti del progresso perché ne abbiamo pieno accesso, con largo anticipo rispetto ad altri angoli del mondo.

 

Sono consapevole di poter essere accusato di etnocentrismo a questo punto, come a dire che sia legittimo scrivere la storia ponendo sé stessi come punto di arrivo e bollando come primitivo chi ancora non ci è arrivato. Messa in questi termini quella dell’etnocentrismo non è più solo un’accusa ma una vera e propria sentenza.

 

Quando l’uomo ha sottomesso il suo prossimo per migliorare le proprie condizioni di vita lo ha fatto per avvantaggiarsi e progredire. È l’istinto di sopravvivenza, una spinta primordiale verso l’adattamento che ha consentito a un organismo di uscire dall’acqua e farsi uomo. Questo istinto non ha abbandonato l’uomo. Il desiderio di migliorare la propria condizione è rimasto per molti millenni e persiste anche una volta superato il nomadismo.

 Il nostro grado di sviluppo sociale e morale oggi lo bolla come deprecabile e barbarico ma ciò non nega il suo essere fattore fondamentale, che ha permesso all’uomo di ergersi sul prima sul resto del creato (per chi a differenza di me crede alla creazione) e poi sui suoi simili.

 

La linea di demarcazione con l’etnocentrismo sta nell’affermare che questa posizione non va vista come un’esclusiva da mantenere.

È la naturale conseguenza del fatto che una volta che vi è abbondanza vi è facoltà di scegliere. Pertanto, una  volta eliminato il problema della sopravvivenza, l’uomo ha sempre potuto alzare il proprio sguardo oltre il terreno che gli sta sotto i piedi, di là dei problemi che minacciano la propria esistenza. È solo una volta eliminato il problema della scarsità delle risorse e della sussistenza che l’individuo si può interrogare su aspetti meno materiali della propria esistenza.  

Questo comprende la possibilità di gettare uno sguardo critico su se stesso e sulla società in cui vive.



Quindi ecco che al progresso tecnico si accompagna quello civile e sociale.

Il mondo progredisce perché ci sono individui che studiano e scoprono cose nuove, che a loro volta divengono di dominio pubblico.

Progredisce perché c’è chi vuole sfruttare condizioni ambientali e sociali favorevoli per accrescere la propria conoscenza e le proprie condizioni di vita.

Progredisce perché c’è qualcuno che sviluppa reattori nucleari e ne permette la produzione in serie a basso costo e li mette a disposizione anche di chi potrebbe bruciare idrocarburi per generare energia.

Progredisce perché l’avanzamento sociale, tecnologico e culturale presto o tardi si diffonde e irradia a tutti i livelli.

Ne abbiamo avuto una prova lampante nella seconda metà del secolo scorso dopo la caduta dell’unione sovietica quando pochi anni dopo essersi liberati del giogo comunista molte neonate democrazie hanno deciso di riorientarsi liberamente verso occidente.

Un occidente che indubbiamente ha scritto alcune delle pagine più tristi della storia ma che ha anche partorito le personalità che sono state in grado di mettere in discussione il modello imperante.

Non è il pretesto per sottomettere altri al proprio volere. Proseguire così significherebbe non progredire ma piegarsi alle dinamiche che hanno sospinto il mondo fino alla metà del secolo scorso e che sono il passato solo per pochi milioni di privilegiati.

 

Tutto ciò non comporta assolutamente che la nostra contemporaneità vada accettata così com’è ma credo che il progresso debba tornare ad essere un ideale verso cui ambire.

Un futuro ancora da plasmare per uscire da questo presente che tutti avvertiamo essere stridente.

 Ci sentiamo spesso deresponsabilizzati perché questo è “il mondo in cui viviamo” ed è stato creato da altri prima di noi. Questo è vero poiché noi subiamo le responsabilità di chi ci ha preceduto. Ma al contempo è vero che, se riconosciamo gli errori commessi in passato, allora siamo giocoforza colpevoli se non facciamo nulla per porvi rimedio.

 Il ritmo del progresso è insostenibile per il pianeta ma anche questo è una variabile che noi essere umani possiamo influenzare. In un mondo che parla solo con il linguaggio dei numeri e dei fatturati, che non fa differenza tra bulloni e operai quando si tratta di tagliare, allora è coi numeri, ossia con le nostre scelte d’acquisto che faremo sentire le nostre voci.

 

Quindi tornando all’esempio della plastica se da un lato il progresso ci può venire in aiuto migliorando le strutture di riciclo e di gestione dei rifiuti, dall’altro chi è più consapevole e vuole avere un impatto non può minimizzare e deve modificare le proprie azioni di conseguenza:

sono le scelte individuali che portano alle rivoluzioni vere e durature.

 

 

Marcello 'Bielsa' Bonanomi

Se vuoi contattarmi, scrivimi a info@ilrespirodellestelle.com





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