Questa frase di Lao Tzu riassume molto bene ciò che accade nella vita di ognuno di noi: ci facciamo condizionare o rallentare dai pensieri e dal modo di vivere di altre persone, anche se sappiamo benissimo che quella non è e non sarà mai la via per essere felici. Ma allora perché lasciamo che accada? E in che modo possiamo liberarcene?
Si sa, uno degli sport preferiti delle persone è quello di giudicare gli altri. Soltanto da fuori, dall'apparenza, senza nemmeno conoscere del tutto una persona, una situazione, un evento. Del perché l'oggetto del linciaggio si sia comportato in quel modo, quali situazioni l'hanno portato a diventare quello che è, nemmeno l'ombra. Il panorama è enorme e non possiamo farci ingannare dalle apparenze.
Per esempio: tu oggi sei in pace col mondo. Non c'è niente che ti turbi, anche ciò che arriva dall'esterno non può toccarti. Da mesi sei la stessa persona, in equilibrio col resto. Scorri al di sopra dei fastidi derivanti dalla gente intorno e al loro chiacchiericcio. Domani, invece, ti svegli e l'auto non parte. Arrivi tardi al lavoro e ti senti subito rimproverare. In più, un'amica ti dice che qualcuno ha parlato male di te mentre non c'eri. Sai cosa succede? Che alla minima punzecchiatura esterna, tu scoppi. E te la prendi col primo che capita. Tutti intorno iniziano a giudicarti e a dire che sei impazzito, che non ci si comporta così, che così non va bene, che sei stressato, che...
Magari erano mesi che non ti arrabbiavi nemmeno un pochino, nel rispetto di tutti, ma subito viene puntato il dito appena hai una reazione sbagliata di troppo. Ma non eri lo stesso di ieri che trattava tutti meravigliosamente? Perché la gente non prova a capirti?
Semplice: perché è più facile giudicare che provare a mettersi nei panni degli altri. Che provare a chiedere, provare a capire, provare a parlare con te. Il giudizio sugli altri, è sempre ai primi posti nelle conversazioni tra persone.
Questo ci condiziona anche se non vorremmo, perché gli altri ci fanno sempre sentire in qualche modo sbagliati. E inevitabilmente spostiamo il nostro modo di essere verso qualcosa che non siamo veramente noi, ma che vogliono gli altri.
Fingere di essere qualcosa che non si è, alla lunga, però, è davvero stancante. Così accade un evento, una situazione, un momento in cui decidi che così non può più funzionare. Torni ad essere soltanto te stesso e smettere di farti condizionare da chiunque.
Sai cosa accade adesso?
Che ad essere soltanto te stesso la gente che fa parte della tua vita perché ti vuole bene e ti ha sempre voluto bene rimane e rimarrà sempre al tuo fianco. Con un rapporto anche più vero e maturo. Tutti gli altri, che si erano ritrovati nella tua vita per caso, li perderai per strada e sarà meglio così. I carichi pesanti si lasciano andare. Rimane soltanto ciò che è davvero leggero per poter continuare la corsa.
Se pensate non sia così semplice, nella bellissima serie TV Bojack Horseman c'è questa frase da portarsi con sé in ogni situazione della nostra esistenza:
Tornando a noi, voglio raccontarvi una bellissima storia contenuta in un libro. Il libro è Tu sei speciale di Max Lucado. Racconta molto bene una società piena di giudizi ma anche che si può decidere di non farsi appiccicare addosso le etichette ed essere liberi. Liberi di rimanere sé stessi.
Ecco la storia che voglio raccontarvi, tratta appunto da questo libro:
Gli Wemmicks erano un piccolo popolo di legno, scolpito da un falegname di nome Eli.
La sua bottega si trovava in cima a una collina che dava sul villaggio.
Ogni Wemmick era diverso. Alcuni avevano un naso grosso, altri avevano grandi occhi. Qualcuno era alto e qualcuno era basso. Qualcuno portava il cappello, qualcun altro portava il cappotto.
Ma erano stati tutti fatti dallo stesso scultore e tutti vivevano nel villaggio.
E tutto il giorno, ogni giorno, gli Wemmicks facevano la stessa cosa:
si attaccavano adesivi l'uno con l'altro.
Ogni Wemmick aveva una scatola si stelle d'oro e una scatola di pallini grigi.
Su e giù per le strade della città, gli Wemmicks passavano il tempo ad attaccarsi le stelle o pallini l'uno con l'altro.
Quelli belli, di legno liscio e ben dipinti, ricevevano sempre stelle. Ma se il legno di qualcuno era ruvido o il colore si staccava, gli Wemmicks gli davano dei pallini grigi. Anche quelli di talento ricevevano stelle. Qualcuno sapeva sollevare pesanti legni sopra la testa o saltare grosse scatole. Altri ancora conoscevano parole lunghe o sapevano cantare belle canzoni. A questi, tutti davano delle stelle.
Ce n'era qualcuno letteralmente coperto di stelle! Questi Wemmicks, ogni volta che prendevano una stella, erano contenti. Così veniva loro voglia di fare qualcosa d'altro e prendere un'altra stella.
Altri, però, sapevano far poco. E prendevano pallini.
Pulcinello era uno di loro. Provava a saltare in alto come gli altri, ma cascava sempre. E quando cascava, gli altri lo circondavano e gli davano dei pallini. A volte, quando cascava, il legno si graffiava e così la gente gli dava altri pallini ancora.
Poi, quando cercava di spiegare perchè fosse cascato, diceva qualcosa di sciocco, e gli Wemmicks gli attaccavano ancora dei pallini.
Dopo un po' aveva così tanti pallini da non aver più voglia di uscire. Aveva paura di fare qualcosa di sciocco, come di dimenticarsi il cappello o di mettere un piede in acqua, perchè allora la gente gli avrebbe dato altri pallini.
In effetti, aveva così tanti pallini grigi che a volte qualcuno gliene incollava uno senza una ragione particolare.
"Si merita un sacco di pallini", diceva la gente di legno.
"Non è una brava persona di legno"
Dopo un po' Pulcinello cominciò a crederci.
"Non sono un bravo Wemmick", diceva.
Le poche volte che usciva si ritrovava con Wemmicks che avevano un sacco di pallini. Con loro si sentiva a suo agio.
Un giorno Pulcinello incontrò una Wemmick diversa dagli altri. Lei non aveva stelle o pallini. Era semplicemente di legno. Si chiamava Lucia.
Non che la gente non cercasse di appiccicarle degli adesivi, ma su di lei gli adesivi non si attaccavano. Qualche Wemmick apprezzava il fatto che Lucia non avesse pallini, così correva a darle una stella. Ma questa cascava giù.
Altri la disapprovavano perchè non aveva stelle, così le davano un pallino. Ma anche questo si staccava.
E' così che voglio essere, pensò Pulcinello. Non voglio i voti di nessuno.
Così andò a chiedere alla Wemmick senza adesivi come riuscire a fare una cosa del genere.
"È semplice", rispose Lucia. "Ogni giorno vado a trovare Eli"
"Eli?"
"Si, Eli. Lo scultore. Siedo nella bottega con lui"
"Perchè?"
"Perchè non lo scopri da solo? Vai sulla collina. Lui è là", disse la Wemmick senza adesivi. Poi si voltò e andò via.
"Ma lui vorrà vedermi?" gridò Pulcinello. Ma Lucia non lo sentì.
Così Pulcinello andò a casa. Sedette alla finestra e rimase a guardare la gente di legno, tutta indaffarata a darsi stelle e pallini gli uni con gli altri.
"Non è giusto", borbottò fra sé. E decise di andare a trovare Eli.
Pulcinello camminò lungo lo stretto sentiero che portava in cima alla collina ed entrò nella grande bottega. Sgranò gli occhi di legno per le dimensioni delle cose che vide. Lo sgabello era alto quanto lui. Per vedere il piano di lavoro dovette alzarsi sulla punta dai piedi. Un martello era lungo quanto il suo braccio. Pulcinello inghiottì a fatica.
"Io qui non ci resto!", disse, e si voltò per andarsene.
Poi sentì il suo nome.
"Pulcinello?". La voce era profonda e forte. Pulcinelllo si fermò.
"Pulcinello! Che bello vederti. Vieni a farti dare un'occhiata"
Pulcinello si voltò lentamente e guardò il grosso artigiano barbuto.
"Conosci il mio nome?", chiese il piccolo Wemmick.
"Certo che lo conosco. Ti ho fatto io"
Eli si chinò, lo prese e lo posò sul banco.
"Hmm", fece pensieroso, vederlo i pallini grigi.
"Sembra che tu abbia preso dei brutti voti"
"Io non volevo, Eli. Ho fatto del mio meglio"
"Oh, non devi giustificarti con me, figlio mio. Non m'importa di quello che pensano gli altri Wemmicks"
"Ah, no?"
"E non dovrebbe importare nemmeno a te. Chi sono loro, per dare stelle o pallini? Sono solo Wemmicks, come te. Quello che pensano non importa, Pulcinello. Importa solo quello che penso io. E io penso che tu sia davvero speciale"
Pulcinello rise.
"Speciale, io? Perchè? Non so camminare veloce. Non so saltare. Mi si stacca la pittura. Perchè dovrebbe importarti di me?"
Eli guardò Pulcinello, posò le mani sulle sue piccole spalle di legno e parlò lentamente.
"Perchè tu sei mio. E' per questo che m'importa di te"
Nessuno aveva mai guardato Pulcinello in quel modo e lui non sapeva che dire.
"Ogni giorno ho sperato che saresti venuto", spiegò Eli.
"Sono venuto perchè ho conosciuto qualcuno senza adesivi", disse Pulcinello.
"Lo so. Mi ha parlato di te".
"Perchè su di lei gli adesivi non si attaccano?"
Eli parlò a bassa voce.
"Perchè ha deciso che ciò che penso io sia più importante di quello che pensano gli altri. Gli adesivi restano attaccati solo se tu permetti che accada"
"Cosa?"
"Gli adesivi si attaccano solo se per te vogliono dire qualcosa. Più sarai sicuro del mio amore e meno ti importerà dei loro adesivi"
"Non sono sicuro di capire"
Eli sorrise. "Capirai, ma ci vorrà del tempo. Hai un sacco di adesivi attaccati. Per adesso passa a trovarmi tutti i giorni e ricordati quanto sei importante per me"
Poi Eli sollevò Pulcinello dal banco e lo posò a terra.
"Ricorda", disse Eli, mentre il Wemmick usciva dalla porta, "Tu sei speciale perchè ti ho fatto io. E io non faccio errori"
Pulcinello non si fermò, ma dentro di sé pensò:
Credo che dica sul serio.
E in quel momento il primo pallino cascò per terra.
Adesso tocca a te scegliere che Wemmick essere: sei sicuro di voler addosso tutti quegli adesivi che la gente ti appiccica addosso?
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