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Immagine del redattoreRudy Pesenti

Forse la questione sociale è più complessa del solo patriarcato - di Mattia Pinna

Mattia Pinna, scrittore del libro ambientato in Giappone 'Blue Eyed Tokyo' prova a guardare la realtà della violenza sulle donne nella nostra società a 360°, partendo dalla vicenda di Giulia Cecchettin, per comprendere meglio il buio che sta attraversando i nostri tempi.

Ecco il suo articolo.



Nei giorni scorsi ero indeciso se scrivere qualcosa o no circa la storia di Giulia Cecchettin.

Penso che da uomo in questa situazione sia necessario fermarsi ad ascoltare, prima che aprire la bocca tanto per dire qualcosa e finirla magari col buttare al vento l'ennesima banalità o - peggio - castroneria.

Poi mi sono reso conto che quasi tutti i commenti di questi giorni vengono da donne, e che forse qualche uomo che prova a esprimere un'opinione argomentata potrebbe non essere una così cattiva idea. Questa non è una battaglia delle donne. Questa è una battaglia di tutti.

Per cui vorrei dire un paio di cose, senza la pretesa di detenere la verità, ma sperando di poter portare nel mio piccolo qualche nuovo spunto di riflessione.

Tante cose sono già state dette, nel bene e nel male, per cui non ripeterò tutto ciò che è stato ampiamente scritto, e mi limito a portare alcuni ragionamenti in più.


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Prima di tutto, questa storia è la dimostrazione che abbiamo fallito. Tutti, e su tutta la linea.

Abbiamo fallito come cittadini, che ancora una volta parliamo sempre e solo di noi stessi, anche di fronte all'orrore, per paura di doverci mettere in discussione noi o le nostre ideologie. Tanto noi "non siamo così, non uccideremmo mai", quando magari siamo i primi ad alimentare una certa cultura.

Hanno fallito i media, che continuano a parlare in modo morboso e vomitevole di questa storia (storie melense sulla vita vita dell'assassino, quadretti idilliaci del loro rapporto, articoli in cui si scrive che gli uomini sono tutti uguali all'assassino, articoli che in qualche modo continuano a colpevolizzare la vittima, la bellezza del lago in cui è stata ritrovata lei, ecc).

Ha fallito la politica, che continua a fare dibattiti verbosi e banali nei salotti TV e che poi è totalmente incapace di fare nulla che non sia mera campagna elettorale, figurarsi attivare un minimo di educazione sessuale-affettiva nelle scuole, o attivarsi per prevenire prima che sia troppo tardi.

Per me che sono un pragmatico e che in tutte le cose cerco sempre soluzioni pratiche ai problemi, è frustrante.


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Ma come si fa a trovare una "soluzione" a un problema così radicato e radicale, che spesso si manifesta senza preavviso e che persino quando sembra scontato, non si riesce a evitare?

Tragedie come questa e le altre 105 di quest'anno smuovono lo stomaco, riversano la bile nel cervello ed è estremamente difficile riuscire a parlarne senza farsi schiacciare dall'emotività.

Il problema è però un gatto che si morde la coda: senza razionalità, è impossible trovare soluzioni pragmatiche e si ritorna solo a berciare nei salotti e nei social (come sto facendo pure io, anche se con buone intenzioni).

Per trovare soluzioni, serve innanzitutto analizzare la complessità delle questioni, senza cadere nella tentazione di arroccarsi nella comfort zone degli slogan.

Purtroppo nessuno di noi ha la verità in mano. Nessun orrore ricorrente e trasversale nella società può essere spiegato con una parola o con una singola causa (vale per i femminicidi, come vale per discriminazioni, guerre, ecc)

Ma quindi, quali sono le cause che hanno portato a tutti i vari Turetta?

Faccio un po' di ragionamenti sparsi.


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1) So che può suonare impopolare ma no, non è tutta colpa del "patriarcato"


Dare la colpa al "patriarcato" significa dare la colpa a un termine che usiamo per descrivere in modo semplicistico un'organizzazione socio-culturale (invecchiata male).

Purtroppo, nessun fenomeno complesso si può semplificare racchiudendolo nell'approssimazione di una semplice parola.

E dare la colpa a un'organizzazione sociale piuttosto che agli individui significa deresponsabilizzarci tutti. Chi è il patriarcato? Gli uomini? Le donne? Entrambi?

Ogni volta che troviamo un capro espiatorio e ci limitiamo a dire "è colpa del patriarcato e basta" ce ne stiamo in fondo lavando le mani, perché il patriarcato non siamo noi, è qualcosa di più grande di noi.

La colpa però È nostra, come individui, perché ognuno di noi in qualche momento della propria vita poteva fare di più e di meglio, e non l'ha fatto. Siamo TUTTI parte del problema, chi tanto, chi poco.


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2) Ogni avvenimento viene da molteplici cause e concause


Un femminicidio non arriva solo perché "siamo in una cultura patriarcale". Altrimenti i femminicidi non sarebbero 100 l'anno, ma migliaia e migliaia.

Il substrato culturale patriarcale, che è OVVIAMENTE problematico (non mi dilungo su questo perché è stato già detto tutto in questi giorni), e in cui cresciamo alimenta i presupposti da cui, in casi estremi, nascono i femminicidi.

Ma per capire un atto così brutale e inumano, dobbiamo capire che le cose non avvengono nel vuoto: per veder nascere un Turetta serve avere una cultura che alimenta la violenza, il possesso, la non accettazione di sé, la visione tossica dell'amore e delle relazioni, e contesti sociali spesso di estrema solitudine, degrado, ignoranza, abbandono a se stessi.

Se vogliamo salvare vite, dobbiamo lavorare su CIASCUNO di questi punti.



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3) La cultura del possesso


I femminicidi sono solo la punta di un'iceberg fatto di molestie, stalking, catcalling, violenze fisiche "leggere" e pesanti, violenze psicologiche.

Siamo così sicuri, ognuno di noi, di essere incapaci di violenza? E se siamo davvero sicuri di non poter mai uccidere qualcuno, siamo ancora così sicuri che noi o qualcuno vicino a noi, possa essere incapace di violenze di alcun tipo?

Ci guardiamo abbastanza allo specchio da analizzare i nostri comportamenti, ci chiediamo se mai siamo stati colpevoli di piccole violenze, anche psicologiche?

La cultura del possesso è trasversale a tutti: uomini, donne, di qualsiasi cultura. Ogni volta che parliamo ridendo di quanto siamo "gelosi psicopatici", che diamo della put**na a una qualsiasi donna, magari anche solo per com'è vestita, che controlliamo il telefono del/della partner, che vogliamo controllare dove va, con chi parla, cosa fa, e che trattiamo il/la partner come fosse cosa nostra, e non persona amata.

Quante volte abbiamo normalizzato e romanticizzato gelosia e possesso?

Siamo sicuri di essere davvero al di sopra di tutto questo?


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4) Dobbiamo imparare a rispettare i NO


Tutti noi ne abbiamo ricevuto. I maschi in particolare hanno molto meno "potere nel mercato relazionale": le donne hanno molta meno difficoltà a trovare partner, e gli uomini spesso sviluppano insicurezze, sofferenza e dolore nel sentirsi rifiutati.

Ma i no fanno parte della vita, per quanto dolorosi.

I no servono per crescere.

E un NO può arrivare in qualsiasi momento della relazione: prima che nasca (quando non si è ricambiati), ma anche durante la relazione, quando il/la partner non è disponibile nel modo in cui desidereremmo, e ancor di più DOPO la relazione, quando non riusciamo emotivamente ad accettarne la fine.

Finché non impariamo ad accettare il NO, a rispettare la volontà delle persone che diciamo di amare, finché non impariamo a non sentirci dei fallimenti umani per via di un rifiuto, non ne usciremo MAI.

Perché continueremo a pensare alle relazioni come qualcosa che ci è dovuto, che ci spetta, e che ci autorizza a vendicarci quando la relazione ci viene tolta o negata.


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5) Amare significa DARE, non PRETENDERE


Se per noi amare significa chiedere che ci venga dato qualcosa, o peggio ancora pretenderlo, quello NON SIGNIFICA AMARE.

Non ho la pretesa di insegnare a nessuno cosa significhi amare, ma almeno questo si può dire con certezza: per amare bisogna saper dare e sapersi mettere da parte quando necessario.

Se non ci impegniamo a migliorare la vita dell'altra persona, non stiamo amando, stiamo solo saziando un nostro egoistico bisogno di sentirci amati.

Chi ama non molesta, non picchia, non tortura psicologicamente, non sottomette, non vincola, non abusa: amare significa volere il meglio per l'altra persona, anche sacrificando i propri egoismi e i propri "voglio".

Se il bene delle persone che amiamo è lontano da noi, amare significa saper fare un passo indietro e accettarlo.

E se ci ostiniamo a pensare al/alla partner come "l'altra metà", quando la relazione finisce continueremo a sentirci individui rotti, incompleti, derubati di qualcosa che pensiamo ci appartenesse (una metà di noi stessi...).

Ci sentiremo vittime di un'ingiustizia per cui, come individui strappati in due, è legittimo vendicarsi.


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6) I maschi non sono la "metà privilegiata"


Banalizzare la complessità di queste dinamiche rendendole favolette in bianco e nero, dove gli uomini sono i malvagi privilegiati, e le donne innocenti discriminate, è non solo lontano dalla realtà, ma anche controproducente.

Se gli uomini, come spesso leggo in giro, BENEFICIANO della cultura patriarcale, allora come possiamo aspettarci che gli uomini combattano questa battaglia insieme alle donne? Come ci possiamo aspettare che si impegnino a cambiare le cose?

Una struttura sociale sessista NON aiuta gli uomini. Gli uomini contano il 90% dei suicidi, delle morti sul lavoro, dei morti in guerra, ottengono pene più severe a parità di reato, sono vittime di bullismo e di scherno quando si allontanano dagli stereotipi del maschio alfa.

E finché i maschi verranno considerati una casta con soli privilegi nonostante soffrano per tutti questi motivi (più tanti altri) e vengano lasciati soli nel loro disagio, continueremo ad alienarci metà dei possibili alleati.

Questa è una battaglia di TUTTI e dobbiamo combatterla TUTTI.

Perché TUTTI siamo sia carnefici che vittime.


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Questa non è una guerra tra sessi, ma una battaglia di sopravvivenza.

Al di là della triste cronaca però, ci sono degli aspetti positivi.

Per esempio, i femminicidi, al pari di tutti gli altri crimini, stanno lentamente diminuendo e in Italia i dati sono piuttosto "bassi" in confronto ad altri stati.

Questo significa che piano piano stiamo facendo dei piccoli passettini avanti, e non ci dobbiamo fermare né far terrorizzare dalle narrazioni dei media.

Purtroppo i femminicidi e gli omicidi in generale non diventeranno mai zero, perché le persone sono animali caotici, imperfetti, insofferenti, sbagliati, crudeli.

Ma anche una sola vita di donna, o di uomo, salvati da una fine evitabile, così come ogni singolo schiaffo evitato, sarà una piccola vittoria collettiva, per cui vale la pena mettersi in discussione e cominciare a cambiare da subito.



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