Questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla.
Capita a tutte, è raro il contrario. Sappiamo tutte per esperienza diretta cosa sia una molestia. Una pacca sul sedere, una palpatina durante il consueto tragitto in pullman verso la scuola, l’alito sul collo di un altro spettatore al cinema, i complimenti inopportuni dell’istruttore di guida o del professore, la confidenza eccessiva del capoufficio.
Personalmente incontrai il mio lupo – non che mi consideri un agnello, anzi, ma la distinzione tra sesso debole e sesso forte è radicata nella nostra cultura, e questo autorizza alcuni uomini a sentirsi predatori – in libreria. Sì, esatto. Proprio in quello che per me, dapprima lettrice onnivora e poi scrittrice, è sempre stato un santuario.
Era una mattina afosa di inizio estate. Annoiata, decisi di uscire di casa e fare una passeggiata sino alla vicina libreria. Ricordo persino ciò che indossavo: un paio di infradito, dei pantaloni chiari a gamba ampia e una canottierina che aveva come motivo la prima pagina di tanti quotidiani. Entrai nel negozio e iniziai a girare fra gli scaffali, a dare uno sguardo senza un’idea precisa. Non c’era nessun altro, a parte me e il libraio. Dopo un giro di ricognizione infruttuoso, timidissima provai a chiedergli un consiglio. Vidi quell’uomo relativamente ancora giovane lasciare il bancone e avvicinarsi con un sorriso. Mi nominò alcuni autori – Banana Yoshimoto, Andrea De Carlo, Isabel Allende, Alessandro Baricco – e mi mise in mano una copia de La ragazza delle arance di Jostein Gaarder. Io voltai il volume per leggere la sinossi sul retro di copertina. Dopo un attimo, perplessa, sentii il suo fiato. Era dietro di me, così vicino… Un altro secondo ed eccolo appoggiarsi alla ricerca di soddisfazione. Ero poco più di una ragazzina e mi sentii paralizzata, incapace di pensare, annichilita. Fu per tirarmi fuori da quella situazione che finsi di aver trovato il libro giusto e dissi, con una risolutezza che in realtà non avevo: “Prendo questo.” Andammo al bancone, pagai e uscii, salutando il libraio educatamente come nulla fosse successo.
Arrivata a casa lasciai la borsa sul letto, presi dei vestiti puliti dall’armadio e feci una lunghissima doccia. Mi sentivo stupida e sporca. Come avevo potuto permetterglielo? Come avevo fatto a non reagire? Eppure venivo considerata una persona dal carattere forte. Ma è così che accade. Invadono il tuo spazio, superano confini ai quali non dovrebbero neanche avvicinarsi senza il tuo consenso e ti fanno sentire in difetto.
Ricordo che uscii dal bagno e piansi. Raccontai tutto a mio fratello, che cercò di consolarmi. Fu lui a dirmi che, in un mondo di lupi, gli agnelli devono stare uniti. Ecco perché ho voluto raccontare questo episodio. Non lessi neanche una riga de La ragazza delle arance, ma credo che quella mattina, nonostante tutto, imparai qualcosa di importante.
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