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Intervista a Paolo Piccoli de la 'Piccola Orchestra Karasciò' - Una vita raccontando emozioni

Raccontare emozioni è un’arte, e Paolo Piccoli – frontman della Piccola Orchestra Karasciò – lo fa da sempre con una sincerità rara. In questa intervista esclusiva ci addentriamo nel suo mondo fatto di musica, parole e storie vissute, scoprendo il percorso, le ispirazioni e l’anima che si nascondono dietro una delle voci più autentiche del panorama cantautorale italiano. Una chiacchierata intensa, tra ricordi, passioni e quella voglia di emozionare che accompagna ogni passo della sua carriera.


piccola orchestra karasciò

Ecco a voi la bellissima intervista a Paolo Piccoli in cui ripercorriamo la storia de la Piccola Orchestra Karasciò, nota per il suo folk cantautorale mai banale, a cui noi de ilrespirodellestelle siamo fortemente legati.

Parole, musica ed emozioni. Partiamo per questo grande viaggio.

1 - Ciao Paolo, ci racconti, per chi ancora non vi conosce, come mai avete scelto il nome Piccola Orchestra Karasciò per il vostro gruppo musicale? E a chi ti sei ispirato per iniziare a suonare?

 

Premetto che eravamo giovani… e come per molte cose a quell’età, abbiamo agito d’impulso, senza troppo pensarci su (ancora oggi trovo che questo in certe circostanze sia un buon modo di prendere la vita). Comunque, eravamo giovani e ci piacevano i film di Kubrick, così abbiamo pescato da “Arancia Meccanica” questo termine. Era lo slang, il modo di dire ricorrente utilizzato dal protagonista Alex ogni volta che qualcosa gli andava a genio, “karasciò!”.


Piccola orchestra invece, nasce dal fatto che, quando abbiamo iniziato, oltre ad agire d’impulso, avevamo anche poca capacità di sintesi e quindi siamo partiti con un organico davvero molto ampio che comprendeva tromba, violino, percussioni e mandolino oltre ai canonici strumenti di una band. Insomma, una “piccola orchestra”.

2 - Arriva l'album 'Made in Italy' e arriva il “Premio Amnesty Italia Emergenti” con il brano Beshir. Ti chiedo: come è nata quella canzone e che esperienza è stata per voi?

 

Tutto è nato da un’immagine.

Partecipavo ad una serata di sensibilizzazione dedicata al tema migratorio e ad un certo punto passò sullo schermo la fotografia di un ragazzo con un giubbetto salvagente. Un’immagine fra tante, ma mi colpì molto.

Così tornato a casa, l’urgenza di dare senso a quel turbamento si trasformò in una canzone, scritta praticamente di getto.

Ciò che mi resta, dopo tanti anni dalla sua composizione, è lo sforzo quotidiano che cerco di mettere in atto per non dare mai per scontato il dolore e la sofferenza degli altri. Per dare il giusto peso alle cose importanti.

Non mi è facile…


Perennemente bombardati da immagini e notizie mischiate fra loro e in rapida successione. Dal bimbo fra le macerie al cagnolino con il cappello in testa che canta tanti auguri, il sacro con il profano in un susseguirsi continuo di immagini e suoni che ci portano ad accelerare.

E allora mi sforzo di rallentare.

Certi argomenti, certe immagini, hanno bisogno di spazio, di profondità.

Ecco Beshir mi ricorda questo, di lasciare spazio al turbamento, attraversandolo, senza scansarlo e con i tempi dovuti, senza frenesie.


3 - L'album 'Apologia' ha appena compiuto dieci anni ed è un grandissimo album dall'inizio alla fine, con un tema non sempre esplorato: la morte. C'è chi la evita e non ne vuole parlare e c'è chi prova a dargli una dimensione. Tu che dimensione gli hai dato? Che cos'è stato per te scrivere un album intero su quel tema?

 

La morte c’è, riguarda tutti noi e fare finta di nulla mi sembra un atteggiamento poco efficace.

Ho perso mio padre che avevo 10 anni e per la prima volta ci ho dovuto fare i conti.

L’album “Apologia”, quindi, è stato una buona scusa per cercare di approfondire l’argomento, per indagarlo.

Ci sono riuscito? In parte.

Alla fine dei conti la morte rimane e rimarrà sempre un grande mistero e proprio per questo mi affascina e mi spaventa tanto.

Le spiegazioni fornite dal dogmatismo religioso mi annoiano.

Pensare di avere in tasca la soluzione e di sapere cosa ci sarà dopo, da prova della nostra incapacità di convivere con il mistero.

Non tolleriamo che ci sia qualcosa di incomprensibile a cui non sappiamo dare una spiegazione.

A me è proprio questo invece che affascina… sapere che c’è qualcosa che va oltre la nostra capacità di indagine, di cui non sappiamo un bel nulla!

Mi fa sentire piccolissimo e vivo e apre le porte ad una ricerca personale di spiritualità che non ha nulla a che fare con santi, miracoli, paradisi e compagnia cantante.


 4 - Il tuo è un cantautorato folk con dei testi sempre importanti, che hanno tematiche ben precise. Pensi che se la vostra musica fosse nata negli anni '70 avreste avuto un successo più a livello nazionale? Perché oggi le parole intelligenti e sussurrate sembra abbiano perso di valore?

 

Solitamente se si vuole “arrivare al successo” i tempi li si deve precedere. Arrivare in ritardo e per di più di una quarantina d’anni, non è una buona strategia di marketing.

Questo per dire che, quando mi sono messo a fare canzoni il mio obiettivo principale non era quello.

Per me lo scrivere è stato prima di tutto uno spazio personale e terapeutico. L’approccio è caduto sul cantautorato perché era il linguaggio che conoscevo meglio e che trovavo più naturale e congeniale. Il resto è venuto da sé…

 

Oggi le “parole intelligenti e sussurrate” nel mondo della musica, esistono ancora, solo sono un po' più difficili da individuare in mezzo a tanto rumore. Si muovono tra i milioni e milioni di brani presenti sulle varie piattaforme che ormai hanno rivoluzionato il mondo della musica.

Più aumenta la possibilità di scelta e più deve aumentare la capacità critica dell’ascoltatore. Altrimenti il rischio è che al posto tuo scelga un algoritmo. Comodo senza dubbio, ma non sempre così efficace.

5 - Legandomi alla domanda precedente ti chiedo: in un mondo che brucia tutto subito, che fine farà il cantautorato, che ha bisogno di più tempo per entrare nell'anima delle persone?

 

E’ proprio questo il tema, c’è bisogno di fermarsi, fare spazio e non solo in ambito musicale.

Siamo quotidianamente bombardati di immagini, informazioni, progetti, obiettivi, problemi, cose da fare, posti da visitare, persone da chiamare.

Conviviamo con il rumore dei nostri pensieri per tutta la giornata. Ma quanti di questi sono davvero importanti? Quanti sono quelli veramente in grado di farci battere il cuore?

La maggior parte delle energie le spendiamo per processare immagini e informazioni davvero inutili.

Tu parli di un mondo che “ brucia tutto subito”, ma magari! Sarebbe già una forma rituale di rinuncia. Oggi invece, secondo me, il modo consuma, fagocita, modifica, offende…

Dobbiamo imparare a fermarci.

Dobbiamo fare spazio.


 6 - Chi salvi oggi nel panorama della musica italiana?

 

La lista che ti farò rivela senza pietà tutti i miei anni e la mia nostalgia…  cercherò quindi di inserire soltanto artisti ancora in attività, ma non aspettarti nomi troppo recenti o artisti della “nuova generazione”:

 

Su tutti sicuramente Vasco Brondi, poi Niccolò Fabi, Caparezza, Bianconi, Appino, Giovanni Truppi, Motta, i Verdena eccetera eccetera.

Ma immagino che se dovessi leggere questa lista ad un diciottenne di oggi mi darebbe del vecchio di merda!

E forse avrebbe anche ragione.

7 - Qual è stato l’ascolto che ti ha cambiato più profondamente nella tua vita?

 

Una canzone in particolare non saprei indicartela.

Ti indico però i due artisti che ci sono riusciti:

Fabrizio De Andrè e Franco Battiato.

8 - Un altro album che amo tantissimo è 'Qualcosa mi sfugge'. All'interno c'è una canzone che si chiama 'Il nodo' ed esplora il sentimento della tristezza. Che senso dai a quest'emozione? Come ci convivi quando ti accompagna in qualche giornata?

 

Come per la morte, anche per la tristezza vale lo stesso approccio. Non serve evitarla, bisogna farci i conti.

C’è da guardarla in faccia la tristezza quando arriva. Perché dopo lo sconquasso iniziale, apre a possibilità e riflessioni profonde. Avvicina alle cose importanti della vita. Dischiudere un profondo senso di umanità.

Non è facile, non può esserlo, ma mi sforzo di penetrarla.

All’inizio è uno scossone, ma poi arriva il respiro profondo e salvifico che ti porta fuori dalla tempesta lasciando in tè i semi che aprono a nuove possibilità. 


9 - Tra i tuoi testi troviamo tematiche importanti: l'immigrazione, la morte, l'ambiente, la politica, l'attenzione agli ultimi... In questo mondo pieno di conflitti e di egoismo, come si trova un equilibrio? In che modo possiamo provare a cambiarlo nel nostro piccolo?

 

Possiamo cambiarlo, cambiando. Nel nostro piccolo.

Non parto dai massimi sistemi, ma dalle piccole cose.

 

E’ un esercizio quotidiano di crescita personale, di ricerca di un equilibrio seppur precario.

E’ il desiderio di muovermi nel mondo con la miglior versione di me stesso.

 10- La canzone a cui sei più legato tra quelle che hai scritto?

 

Ti direi una bugia se ne scegliessi una. Ogni canzone mi fa tornare in mente il periodo in cui l’ho composta, sbloccando ricordi e sensazioni.

Sono tutte delle preziose scatole del tempo.

Ti confesso però che non amo molto riascoltarmi, tendo a non farlo.


11 - E invece quale è stata la canzone più difficile che hai scritto e perché?

 

La canzone più difficile si intitola “Briciole” e l’ho scritta pensando a mio padre.

E’ morto che aveva poco più di trent’anni e quando ho raggiunto la sua età, è come se un po' fossimo divenuti coetanei.

Il pensiero di una persona che non c’è più si cristallizza nella sua ultima immagine. Noi non facciamo “invecchiare i morti”.

Così ho immaginato un dialogo tenero e paradossale con un padre della mia età. Un cortocircuito che mi ha portato a scrivere un testo che mi ha richiesto molto dal punto di vista emotivo.


 12 - Cos'è che ti fa condividere in musica le tue emozioni?

 

Il respiro corto. Il nodo in gola.

Quando sono felice non scrivo, mi godo il momento.

Scrivo come forma di terapia personale. Cerco di ascoltarmi senza rifuggire, faccio mia l’emozione, la mastico e quando i tempi sono maturi, mi lascio accompagnare dall’urgenza e provo a definire ciò che mi ha percorso, tramite le “parole musicate”.

Non sono uno da correzioni o riletture continue. Lascio spazio all’immediatezza e alla potenza che emana, a scapito a volte del senso compiuto e della grammatica formale.

Poi, una volta terminata, la canzone non è più mia. La lascio andare. È di chi la sa cogliere, dandogli una sua lettura, una sua interpretazione.

13 - Cos'è per te il successo, al di là dei numeri?

 

Sapere che una mia canzone ha strappato un sorriso a qualcuno, che ha permesso di alleviare un dolore anche solo per qualche minuto.

Sapere che ha fatto spazio a qualcosa di nuovo e inaspettato.

Questo per me è “il successo”.

 14 - Puoi decidere di fare un duetto, domani, davanti a migliaia di persone. Con chi condividi il palco?

 

Con i miei figli.

Perché imparino che è “solo un bel giro di giostra”.

 15 - Progetti per il futuro? Quando arriverà un nuovo album?

 

Progetto per il futuro: imparare a stare al mondo, sempre meglio.

 

Discograficamente parlando invece, stiamo ultimando le registrazioni di un nuovo album che uscirà nella primavera del 2026.

Faccio un nodo al fazzoletto e ti prometto che appena sarà pronto, sarai un dei primi ad ascoltarlo.


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