“Tutte le persone, a prescindere dall'etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”. Il 22 aprile 1970, ispirandosi a questo principio, 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra.
In questa giornata abbiamo voluto raccogliere cinque storie da parte di cinque scrittori per raccontare la Terra, per come l'hanno dentro di loro.
DARIO LA MENDOLA - LETTERA A GAIA
Cara Gaia, la primavera è iniziata da un pezzo. Non me ne accorgo dal calendario, del quale so poco. Me ne accorgo dai miei continui starnuti, dalla gola secca, dagli occhi che lacrimano e dalle narici irritate. Desideravo dirti che la dittrichia è fiorita. E per questo ringrazio. Ti accorgi di lei solo se cammini laddove nessuno desidera andare, con lo sguardo basso, in cerca di niente. Il fiore e il profumo delle foglie forse possono risultare sgradevoli. Eppure, che altro profumo può avere una primavera? Se vuoi, te lo racconto.
Qualche giorno fa, per caso, ho incontrato una dittrichia che abitava all'interno di una piccola porzione di terra, mangiucchiata dall'asfalto. Spiritualmente non era altro che un pugno con qualche briciola, stabile di fronte a una soglia, con l'intenzione di riposarsi su un letto. Contemplava tutto: la luce del sole, l'aria calda, il suono della città. Ed era commossa, probabilmente perché consapevole del suo deperimento. L'ho capito dalle mosche intorno, che svolazzavano veloci come lacrime. Mentre cercava di soffiarsi il naso, sussurrava qualcosa. Non saprei come mai, non le ho chiesto il motivo. Le poesie sono fatte in questo modo. Spesso è meglio lasciare i versi a se stessi, l'uno sopra l'altro, o a far rima o semplicemente a sfiorarsi. La dittrichia non pensa in quale terribile solitudine possiamo trovarci. Altrimenti la inviterei a giocare. Per esempio, con lei, giocherei a carte, oppure a che forma hanno le nuvole, a scoprire chi soffia il vento e a decidere se le cose esistono o non esistono (questo gioco è strano). Potrebbe giocare con noi quella donna più in là, che sta facendo la pipì e crede che nessuno la stia guardando. Avrà ipotizzato, giustamente, che questo è un luogo abbandonato. Anche lei, nella sua mente, ha tanti nomi che galleggiano e che significano all'incirca ciò che appare in un cielo grigio. La primavera è una truffa. Tra poco tramonterà. E le domande saranno sempre uguali. Gaia, sei stanca? Se domani torno a trovarti, sarai qui ad aspettarmi? Oppure, oggi, mi hai regalato tutta la tua fragilità? Sorridi, sorridi, sopravvivi.
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DONATELLA FRANZESE - MIO PADRE
Mio padre accudiva la giovane piantagione di ulivi di un medico. Tutte le piante erano diverse, così come diverse sono le genti in cammino per il mondo. Il medico chiese a mio padre di tagliare due di quegli ulivi perché non sembravano in buona salute, troppo fragili rispetto agli altri.
Non volle sapere ragioni!
Mio padre però non le tagliò.
Se le portò a casa, nella loro zolla e le piantò nel suo terreno. Sapeva che avevano bisogno di tempo, di cura e di maggiore attenzione…
Apparteniamo tutti alla fragilità.
Dare tempo e permettere alla vita di accadere è la più alta forma di rispetto per sé stessi e per la terra. La fragilità racchiude la vita, il cordone ombelicale che ci lega ad essa e ci ricorda di quanto sia preziosa, come prezioso è il creato e chi lo abita secondo la propria natura.
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CLAUDIA FERRETTI - OVERVIEW EFFECT
C’è un piccolo gruppo di esseri umani nel deserto. Sono lì perché fuggono la pioggia, se ne allontanano il più possibile. La notte alzano gli occhi e osservano il cielo.
Con giganti telescopi guardano, poi pensano e poi scrivono. Battono le dita sui pulsanti dei computer, poi pensano e guardano ancora. Studiano le galassie. Una a una, e tutte insieme. Le contano, ne esaminano la forma, la massa, l’età. Sanno quali sono le più vecchie e quali le più giovani. Si tuffano nella storia dell’Universo. Vedono lontanissimo nello spazio e nel tempo.
Dall’altra parte del mondo un lombrico mangia e defeca, defeca e mangia e scava i suoi tunnel sotterranei. Muove la terra e la rende fertile. Il tiglio ringrazia e fa sbocciare i suoi fiori.
Sopra l’erba e sotto il tiglio io muovo i miei passi e ascolto il ronzio delle api. Cerco di registrarne il suono con tutti i miei armamentari, ma lontano le automobili corrono senza che io riesca a zittirle.
400 chilometri sopra di noi, a bordo di una stazione spaziale, sei eremiti ci osservano. O meglio, guardano la Terra. Non vedono me, gli scienziati nel deserto, il lombrico, il tiglio e l’ape e di certo non sentono il rumore delle automobili. Vedono tutti, tutti insieme, una cosa sola e viva. E sperimentano la meraviglia.
Lo chiamano “overview effect”, io credo sia come quando si arrivi sulla cima di una montagna, quello stato di stupore che trascende l’io e che porta percepire la bellezza e la connessione con le altre persone e con la Terra tutto insieme.
Così i sei dall’alto dei cieli ci contemplano: un piccolo e sperduto puntino blu nell’Universo che, in men che non si dica, scomparirà.
Shhh! Silenzio! Non diciamolo al lombrico, al tiglio e ai fiori del mio giardino. Loro non sanno che anche io me ne andrò. Ma non devono avere paura. Saranno liberi di fare tutto ciò che vogliono. Certo, questo comporta qualche pericolo in più, come un’invasione di piante infestanti, una siccità o un attacco da parte di uomini e ruspe. Allora lasciamoli quieti ancora un po’. Quante storie ci possiamo ancora raccontare, insieme, qui sulla Terra.
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IVANA FERRIOL - NOI SIAMO NATURA
Nella giornata della Terra leggeremo e sentiremo in giro che la Natura va amata e protetta.
Questo non basta più.
Non dobbiamo soffermarci a dire “a me piace stare in mezzo alla Natura”. Credo che lo step fondamentale da raggiungere sia quello di rendersi conto che Noi siamo Natura. Siamo un atomo di un grande corpo che è la Terra e tutto quello che facciamo è interconnesso con il Tutto condizionandone equilibri e squilibri.
L’uomo si è evoluto ma questa evoluzione che tutti consideriamo positiva e migliorativa rispetto a quella degli animali, ci ha solo allontanati dalla Natura. Abbiamo iniziato a vederla non più come parte di noi ma come un terreno da calpestare e un luogo dove trovare risorse da sfruttare. Abbiamo perso il senso di sopravvivenza e gli istinti che ci permettevano di riconoscere il vento e le nuvole, l’avvicinarsi di una tempesta. Ma dentro di noi esiste ancora il seme di questa interconnessione. Ad esempio, quando sentiamo l’odore della pioggia, è un segnale di rinascita della Terra, un ricordo primordiale che echeggia ancora dentro di noi. Un odore che scientificamente non ci si spiega come possiamo sentirlo eppure ci riusciamo. A volte dobbiamo uscire dagli schemi e accettare che non avremo risposte a tutto ma se ci lasciamo andare in un bosco e restiamo in silenzio ad ascoltare non solo con le orecchie ma con tutto il nostro corpo, forse riusciamo ad avvicinarci a quell’interconnessione che potrebbe ancora tornare a esserci tra noi e la nostra Madre Terra.
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RUDY PESENTI - NON UNA COSA DA VEDERE
In fondo, ho provato a pensare alla Terra e ho capito che non è una cosa da vedere. Perché noi ci siamo dentro e non la potremo mai guardare nella sua interezza, a meno che uno non sia un fortunato e coraggioso viaggiatore nello spazio. La osserviamo per piccoli brevi istanti in spazi ristretti, alcuni ci piacciono di più, altri, contaminati spesso dall'uomo, un po' meno.
Il fatto è che la Terra è una cosa da sentire.
L'ho sentita tra le montagne, una notte, guardando il cielo.
L'ho sentita tra alberi centenari, in una sperduta valle toscana.
L'ho sentita sulla riva di un fiume che scorreva mentre mi faceva specchiare dentro di sé.
L'ho sentita provando a non farmi trascinare tra le onde alte dell'oceano.
L'ho sentita in una passeggiata in mezzo ai campi, mentre mi sentivo solo, e un coniglio buffo mi ha attraversato la strada e non mi sono più sentito solo.
L'ho sentita mentre dormivo in una stanza d'hotel, con il terremoto a smuovermi dal sonno.
L'ho sentita in un tramonto siciliano di settembre.
L'ho sentita in una riserva bruciata qualche mese prima, che ricominciava a germogliare.
L'ho sentita nel deserto del Namib, nel deserto del Sahara. La Terra si sente tanto nel silenzio.
L'ho sentita nei passi degli elefanti che mi attraversavano davanti, in Botswana.
L'ho sentita nei licaoni da cui sono stato circondato, sorpreso, spaventato.
L'ho sentita nel cucciolo di leone che veniva curato dalla madre, a pochi metri da me.
L'ho sentita, dormendo in tenda, nel ruggito del leone di notte.
L'ho sentita nel mio pianto che osservava dall'alto il Delta dell'Okavango, con le mandrie a correre libere in una distesa infinita che l'uomo non può toccare.
L'ho sentita ogni volta che mi sono sentito innamorato.
L'ho sentita ogni volta che mi sono sentito perduto.
L'ho sentita ogni volta che stavo bene, l'ho sentita soprattutto quando stavo male.
L'ho cercata soprattutto quando stavo male.
Perché ti parla, se la sai ascoltare.
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