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Immagine del redattoreRudy Pesenti

La versione migliore - di Giuseppe Farella

Il pensiero del mese di maggio, a cura dello scrittore Giuseppe Farella


Fumetto, cinema e letteratura. Vogliamo cambiare la sequenza? Bene, allora diciamo cinema, letteratura e fumetto. Ma credo che qualcuno storcerà ancora il naso. E quindi, proviamo a dare un altro ordine, magari prendendo come riferimento l’anno di nascita: letteratura, fumetto e cinema; infatti, se la prima affonda le radici in epoche assai lontane, per la seconda e la terza il discorso è ben diverso, visto che i più collocano l’origine di entrambe nel medesimo anno, cioè il 1895.


A questo punto, trovato un ordine, la domanda che adesso mi pongo è la seguente: esiste un legame tra le tre forme d’arte? Sicuramente si potrebbe obiettare che ognuna di queste espressioni artistiche utilizza linguaggi diversi, ed effettivamente anch’io ritengo che ciò sia innegabile: la letteratura è un coacervo di pensieri, azioni ed emozioni che lo scrittore, attraverso le parole, vuole suscitare nel proprio lettore; nel fumetto, la storia che ci viene proposta è fatta di disegni che scorrono su carta rimanendo tuttavia pur sempre statici; nei film, invece, le vite dei personaggi si muovono quasi fossero pezzi di realtà, lasciando dunque poco spazio all’immaginazione dello spettatore.

Ecco, sembrerebbe difficile trovare un punto di contatto tra questi mondi, eppure a mio avviso esiste; anzi, più che di legame, parlerei di vera e propria interazione.

Partiamo dal cinema: sappiamo di come esso attinga a piene mani sempre più spesso e alla letteratura e al fumetto, abbiamo tantissimi esempi in tal senso, superfluo perfino menzionarne qualcuno; passiamo alla letteratura: oggi tante opere letterarie strizzano l’occhio alla serialità sia in termini di ritmo che per quanto concerne la struttura narrativa, senza considerare di quanto sempre più frequente sia il ricorso ad un tipo di scrittura per immagini, ulteriore trait d’union con la settima arte; infine, il fumetto: esistono tanti e tali volumi (non parlo soltanto di graphic novel) di qualità così elevata, non solo per i temi trattati ma anche per la profondità dei testi, da essere considerati a pieno titolo vere e proprie opere letterarie. Basti pensare allo Swamp Thing del ciclo di Alan Moore (1984-1987), al Sandman di Neil Gaiman (1988-1996), al Batman: The Dark Knight Returns di Frank Miller (1986). Appare evidente, quindi, come cinema, letteratura e fumetto facciano parte di un unico insieme (dal quale escluderei, ma solo per praticità teatro e videogiochi) e che questo sia contrassegnato da due elementi (anche piuttosto simili foneticamente): influenze e differenze.


Ed è proprio su questi due aspetti che vorrei soffermarmi, anteponendo prima però una domanda: quando vedete un film, vi chiedete mai se della stessa opera esista anche il romanzo? Oppure, quando state leggendo un libro vi siete mai chiesti se di quel testo c’è già (o faranno) il film? Bene, se anche voi vi siete posti tali quesiti, sono altrettanto certo che vi sarete domandati un’altra cosa: quale delle due è la versione migliore? Meglio il film rispetto al libro/fumetto o il contrario?


Non so quanti siano i casi in cui un testo abbracci tutte e tre le forme d’arte, sicuramente “La Strada” rientra tra questi. Pubblicato nel 2006, il libro del compianto Cormac McCarthy è stato adattato per il cinema nel 2009 (regia di John Hillcoat con protagonista Viggo Mortensen) ed è diventato un fumetto nel 2024 grazie all’autore francese Manu Larcenet. Ma non è su questo caso che voglio soffermarmi. Quello che vorrei fare è prendere in esame quattro esempi letterari (due romanzi e due fumetti) trasportati nel mondo di celluloide, e provare a dare un giudizio, assolutamente personale, su quale sia la versione migliore. So bene di non essermi scelto un compito facile, anzi, tutt’altro, e so anche che il mio giudizio potrebbe attirare più di qualche critica. Però, visto che ci siamo, proviamo e divertiamoci!


Per iniziare, ho deciso di partire da questa bomba qui:

il corvo fumetto
il corvo film

Siamo nel 1988. James O’Barr è un fumettista underground che ha appena perso la propria fidanzata, morta in un incidente stradale. Si sarebbero dovuti sposare di lì a poco. La vita di O’Barr è annientata. Solo dolore e disperazione. In quello stesso periodo, un quotidiano di Detroit si occupa di un caso di cronaca, due fidanzati uccisi da un rapinatore per un anello; è quella la scintilla. Così nasce “Il Corvo”, uno dei fumetti più iconici di sempre. In queste pagine O’Barr dipinge tutto il suo dolore lavorando con qualsiasi cosa avesse a disposizione, (pastelli, tempere, chine) e riempiendo le pagine di citazioni rock (Joy Division e Cure su tutti), riferimenti biblici e poeti decadenti. Il tam-tam che ne segue porta l’opera a diventare un successo mondiale. È grazie a questo che sei anni dopo arriva l’adattamento cinematografico, una pellicola che malgrado la tragedia dietro la prematura scomparsa dell’attore Brandon Lee, ancora oggi è (e rimarrà) un cult.

Ho amato il film, ho adorato il fatto che fosse quasi del tutto aderente alla storia di partenza (tranne che per il finale), ma devo ammettere che l’originale, in questo caso, rimane per me inarrivabile.

animali notturni film e libro

Va bene, mi tolgo la maschera, Animali Notturni è uno dei miei film preferiti, lo adoro, non posso farci niente! Inoltre, penso che questo sia uno dei lungometraggi più sottovalutati della storia del cinema. Ma tant’è. Partiamo come sempre dall’originale: il libro di Austin Wright è intrigante: racconta la storia di uno scrittore che invia alla sua ex-moglie la bozza del romanzo a cui sta lavorando, intitolato appunto “Animali Notturni”. Il manoscritto parla di un docente (Tony) e della sua voglia di vendetta a causa dell’uccisione di moglie e figlia ad opera di alcuni balordi. Il romanzo nel romanzo si muove rapido, contorto, famelico di suspense e sete di giustizia, e si sovrappone a fasi alterne alla storia principale risvegliando nella mente della protagonista (Susan) il ricordo di un ex-marito dimenticato (forse) troppo presto. Romanzo e film sono piuttosto allineati, tranne che per alcuni aspetti: per esempio il titolo (trovo bellissimo quello utilizzato per il film) e il finale, e anche in questo caso il secondo si lascia nettamente preferire al primo. La regia di Tom Ford (sì, parliamo proprio dello stilista!) è perfetta, riesce ad arricchire le immagini grazie al suo innegabile senso estetico e poi gli attori, Amy Adams, Jake Gyllenhaal e Aaron Taylor-Johnson, sono assolutamente a fuoco. Un film incredibile (come ho già detto), più di una spanna sopra il testo originale.


v per vendetta fumetto
v per vendetta film

Un altro, anzi due pesi massimi: parliamo di V for Vendetta (fumetto e film).

Cominciamo dall’opera di Moore e Lloyd, un testo potente, visionario, ricco di riferimenti letterari (1984 di Orwell, Fahrenheit 451 di Bradbury e l’immancabile Shakespeare). Siamo agli albori degli anni Ottanta, i due autori danno vita a questa lunga saga immaginando una Londra del 1997 reduce da un conflitto nucleare al termine del quale un regime totalitario fascista è salito al potere. È in questo clima di repressione che si muove la figura di V, anarchico scampato a un campo di concentramento che indossa la maschera di Guy Fawkes (noto cospiratore che aveva progettato un attentato al Parlamento nel 1605). Lo scopo del protagonista è ovviamente quello di risvegliare le coscienze dei cittadini britannici e rovesciare il governo in carica. Ad aiutarlo in questo compito, troviamo Evey, una fanciulla che tra mille sofferenze seguirà il suo maestro raccogliendone in qualche modo il testimone. Nel 2006 i fratelli (oggi sorelle) Wachowskis, dopo il successo di Matrix, decidono di produrre questo film affidandolo alla regia di James McTeigue. L’adattamento è altrettanto potente ma si sposta qualche anno più in là rispetto alla graphic novel; questo ha permesso agli autori di arricchire la storia, riportando nel film eventi e temi non presenti nell’ originale (che ricordiamo, risale al 1982). Il cast è di tutto riguardo, ottima prova di Natalie Portman e Hugo Weaving, che di fatto non si separa mai dalla maschera di Guy Fawkes. In tutte e due le opere emerge chiaramente l’importanza del simbolo: V assorge a emblema di ribellione, e quella maschera, come oggi sappiamo, entrerà di prepotenza nella cultura di massa. Anche in questo caso il finale è diverso: più sfumato quello di Moore, più a lieto fine quello di McTeigue.

Ora, a conti fatti, se mi doveste chiedere un parere, darei una leggerissima preferenza al fumetto.


Il colibrì Sandro Veronesi
Il colibrì film

Ultimo, ma non meno importante esempio: Il Colibrì.

In questo caso vado dritto al punto: a mani basse, molto meglio il romanzo. Perché la forza del libro di Veronesi (uno dei pochi casi in cui un vincitore dello Strega mi abbia trovato d’accordo) è quella di muoversi prendendosi quasi gioco della linea del tempo e catapultando il lettore con l’ausilio di innumerevoli flashback nella vita di Marco Carrera, un uomo normale, come tanti, che tra lutti e coincidenze riesce ad esprimere tutta la sua resilienza.

Il film, malgrado un cast di tutto rispetto (Favino, Smutniak, Bejo, Moretti, Morante) per me rimane un’occasione mancata: sicuramente attinente al testo, ma scialbo, lento, oserei dire stanco.

 

Ed eccoci alla fine.

Mi avvio alla conclusione di questo pezzo portandomi dietro tre cose: speranza, auspicio e invito. La speranza è quella di non avervi annoiato troppo, l’auspicio è quello di aver incuriosito qualcuno tra voi, l’invito è quello di andare a recuperare uno dei romanzi, fumetti o film di cui vi ho parlato. Perché vedete, alla fine poco importa che voi prediligiate il cinema, la letteratura o il fumetto, la cosa importante è che a muovervi sia sempre la curiosità, la sete di conoscenza e le idee. Come disse un giorno qualcuno: ”Le idee racchiuse in sé stesse si inaridiscono e si spengono. Solo se circolano e si mescolano, vivono, fanno vivere, si alimentano le une alle altre e contribuiscono alla vita comune, cioè alla cultura.” (Gustavo Zagrebelsky)

Ad maiora semper.

 

                                                                                                                   Giuseppe Farella


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