Il pensiero del mese di agosto, a cura di Claudia Ferretti
Sono arrivata in un piccolo villaggio tra le Alpi, una manciata di case a tre ore di cammino
dalle vette dei monti. Non vedevo nessuno per strada o alle finestre, ma tutti mi vedevano
È un paese che non esiste. Perché piccolo, perché lontano, perché non c’è un reale
nucleo di case a comporlo, ma quattro distinti centri lontani tra loro.
In questo luogo un cantastorie ha recitato per me e mi ha raccontato una “bòta”, come
dicono lì, un racconto, una favola locale.
«Un giorno arrivò in paese un’orsa. Era affamata e spaventosa. Tutti avevano paura a
uscire di casa e nessuno aveva il coraggio di cercarla e ucciderla. Così il sindaco decise di
fare qualcosa: preparò un sacchetto con dei viveri e andò da solo a cacciarla.
Seguì le tracce dell’animale fin dentro il bosco e proseguì silenzioso lungo i sentieri e sui
pendii finché trovò un buco tra le rocce. Pensò che potesse essere la sua tana, così ci
infilò il capo e in un attimo, “zam!”, l’animale glie lo staccò.
Gli abitanti del villaggio erano disperati: “Povero sindaco, non ha più la testa!”
Tra i pianti e le lacrime dei compaesani Il Bruno disse: “Ma siamo certi che questa mattina,
quando è uscito di casa, si era portato la testa? Magari l’aveva lasciata a casa prima di
partire.”
Così tutti insieme Il Bruno, Il Pierino, Il Fausto e il Cecchino vanno dalla moglie del
sindaco e le chiedono: “Giannina, Giannina, tu sai se il sindaco stamattina quando è uscito
aveva preso la testa con sé?”
“Mha…non saprei…” risponde la Giannina.»
Fine della storia.
E quindi? Quindi niente.
Non sempre le storie hanno un senso, un fine o un significato profondo da svelare. E
consiglio di non perdere tempo cercando di scoprire quale simbologia si nasconda
nell’animale totemico. Non serve. Non è questo il punto.
Questa storia racconta di un linguaggio libero di sovrastrutture e di scopi. Non racconta
dell’orsa, del sindaco o degli abitanti del villaggio, ma della moglie e del cantastorie
stesso. Questa bòta e chi la racconta creano stupore e ilarità e muovono chi l’ascolta
verso l’esplorazione e la scoperta, in una parola, verso l’immaginazione.
Cosa succede quindi quando si racconta un discorso senza concluderlo? Se si racconta,
incontra o sogna un animale totemico senza dare o cercare alcuna spiegazione? Non
succede proprio niente di male. Semplicemente si offrono e si accolgono immaginari e
suggestioni, lasciando che operino da sé.
Mi spingo allora un po’ più in là. Se è possibile immaginare e raccontare storie che
apparentemente (e anche realmente) non hanno un senso compiuto, e l’uomo lo fa da
molto tempo, è possibile anche compiere azioni senza senso, non finalizzate e
apparentemente non funzionali, e raccogliere ciò che originano in noi e nell’ambiente
attorno a noi.
Alberto Vanolo, urbanista e docente universitario, applica con suo figlio le “passeggiate
situazionaliste”, come spiega nel suo libro La città autistica.
Queste sono “un’esplorazione dello spazio urbano che enfatizza l’idea di perdersi e aprirsi
alla casualità degli incontri e delle possibilità”. Insieme al figlio, l’urbanista sale sull’autobus
e scende a una fermata qualsiasi, si dà una missione con un piccolo obiettivo, come
comprare un bottone rosso, e quindi vaga, permettendosi di cambiare rotta e di andare a
mettere i piedi in ammollo in una fontana per esempio”.
Alejandro Jodorowski li chiama “atti poetici”. In Psicomagia racconta, ad esempio, che da
giovane amava attraversare con l’amico poeta Enrique Lihn le città camminando in linea
retta senza mai deviare. Se si imbattevano in un albero, lo scavalcavano, se c’era una
porta, suonavano il campanello, e così via. Oppure creavano situazioni inedite e
mettevano nelle mani di qualche autista di autobus una bella conchiglia invece di un
biglietto, e godevano della reazione di gioioso stupore che creavano nel conducente. Delle
vere e proprie “poesie in azione” che creavano risposte altrettanto poetiche.
Le passeggiate situazionaliste e gli atti poetici non cercano un fine ultimo, ma lo scoprono
lungo la via.
Per fare cose senza senso, però, è bene utilizzare metodi e porsi dei confini, come ad
esempio non mettere in pericolo sé e gli altri, o non distruggere, ma creare.
Si possono utilizzare delle “strategie di deriva”, come perdersi, contemplare, passare
improvvisamente da un ambiente all’altro, costruire situazioni che sovvertono i significati e
gli usi dello spazio, utilizzare oggetti non funzionali al conteso, o dare nuovi nomi alle
cose.
Bisogna cercare, sperimentare, muoversi, cambiare i piani e anche sbagliare. L’errore
stesso diventa parte integrante del processo di ricerca, chiave di volta dell’intero viaggio.
Come sottolinea Jodorowski stesso, “non si fa una frittata senza prima aver rotto le uova”.
Si inizia a intuire allora che le storie e gli atti senza senso sono indispensabili per non
perdersi troppo sul serio, per liberare l’immaginazione, per portare la creatività verso
strade non ancora percorse, per vedere con nuovi occhi e per sentire con nuove orecchie,
per vivere numerose dimensioni del tempo e dello spazio, per riscoprire l’ambiente e le
persone intorno a noi o, semplicemente, per viverle e basta.
Un atto senza senso mette in tensione le prospettive della vita. Cambia i punti di vista sul
sé e sugli altri, fa scoprire reazioni, sensazioni ed emozioni inesplorate e, talvolta,
inaspettate.
È una possibilità di conoscenza e di stupore.
Percorrere atti senza senso vuol dire sentire senza spiegare, ascoltare senza chiedere,
lasciare andare senza trattenere.
Tremano già le gambe vero?
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Vite Malriuscite
Di Claudia Ferretti e Mario Congiusti
Nato da una trasmissione radiofonica, il libro Vite Malriuscite è una raccolta di racconti che narra storie vere di eroi ed eroine strampalati, intensi e coraggiosi, capaci di dare un fine alla propria esistenza trasformando le proprie "stranezze" in vittorie.
Attraverso le loro vite ci confrontiamo con la possibilità di tramutare i nostri errori in possibilità, i nostri limiti in orizzonti, i nostri sogni in atti di generosità.
Assaporiamo la Vita malriuscita quando ci apriamo alla possibilità dell'imprevisto e del fallimento lasciando che non tutto abbia una spiegazione.
A chi lo desidera, questo libro dice piano nell' orecchio che il non senso degli eventi e dei nostri pensieri possono essere la chiave per aprire le porte a una vita vissuta esattamente come desideriamo.
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